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Dealcolati: il settore cresce, ma il decreto resta fermo

Paolo Castelletti, segretario UIV

Mentre il mercato globale dei vini no e low alcohol accelera, l’Italia resta al palo. L’Unione Italiana Vini (Uiv) sollecita il Governo: senza il decreto attuativo Mef–Masaf, la dealcolazione nel nostro Paese è ancora di fatto vietata, nonostante investimenti già avviati dalle imprese.

Un decreto atteso da mesi

Il settore dei vini dealcolati italiani è ancora in attesa di una svolta normativa. A sollecitarla è l’Uiv che, in una lettera inviata ai ministeri dell’Agricoltura e dell’Economia, chiede l’adozione urgente del decreto interministeriale Mef–Masaf. È necessario a rendere operativa la disciplina fiscale prevista dal Decreto-legge 17 giugno 2025, n. 84, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale”.

Il provvedimento sarebbe fermo da oltre due mesi presso la Ragioneria generale dello Stato, bloccando di fatto l’avvio della produzione di vini dealcolati sul territorio nazionale.

Investimenti già fatti, ma produzione ancora vietata

Nel frattempo, molte aziende vitivinicole italiane hanno già investito in modo significativo. Sia sul piano infrastrutturale – con l’acquisto e l’installazione di impianti per la dealcolazione – sia in termini di formazione del personale e posizionamento dei prodotti sul mercato.

«Da tempo chiediamo al Governo di poter operare in condizioni di parità competitiva rispetto agli altri produttori europei», ha dichiarato il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti . «I nostri competitor beneficiano da quattro anni delle opportunità introdotte dal Regolamento UE del 2021. Le imprese italiane sono pronte, ma oggi dealcolare in Italia è ancora vietato».

No-Lo: uno dei pochi segmenti in crescita

Il ritardo normativo pesa ancora di più se confrontato con l’andamento del mercato. Secondo l’Osservatorio Uiv, il comparto No-Lo (no e low alcohol) rappresenta uno dei pochissimi segmenti in crescita in uno scenario globale complesso per il vino.

Il mercato mondiale dei prodotti No-Lo – che include anche i dealcolati – vale oggi 2,4 miliardi di dollari. Dovrebbe raggiungere i 3,3 miliardi entro il 2028, con un tasso di crescita annuo composto (Cagr 2024–2028) dell’8% a valore e del 7% a volume.

Alcohol-free in forte accelerazione nei mercati chiave

A trainare la categoria sono soprattutto i vini alcohol-free. Secondo le elaborazioni Uiv su dati NielsenIQ, nei primi 9 mesi dell’anno i vini a zero gradi hanno registrato una crescita esponenziale nei principali mercati retail di Germania, Regno Unito e Stati Uniti.

In Germania i volumi segnano un +46%, con una quota del 5% sul totale No-Lo; nel Regno Unito la crescita è del +20%, con una share che sale al 23%; negli Stati Uniti l’aumento è del +18%, con una quota del 17% della categoria a basso tenore alcolico.

Il paradosso italiano: bene all’estero, ma non in casa

Un dato particolarmente significativo riguarda i vini alcohol-free italiani, che – non potendo essere prodotti in Italia – vengono realizzati all’estero. Nonostante ciò, performano positivamente sui mercati internazionali.

Nel Regno Unito registrano un +6% a volume e +10% a valore, mentre negli Stati Uniti crescono del +17% a volume e del +24% a valore.
>>La quota italiana rappresenta il 6% delle vendite di vini a zero gradi negli USA, sale all’11% in Germania e raggiunge il 24%</strong> nel mercato britannico.

Numeri che raccontano un potenziale concreto, oggi frenato più dalla burocrazia che dal mercato.

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