Pompei, famosa per le sue rovine ben conservate, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia mondiale. Seppellita sotto una coltre di cenere e lapilli durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., è stata scoperta nel XVIII secolo e da allora ha affascinato visitatori di tutto il mondo, tanto da essere uno dei siti archeologici più visitati al mondo e un patrimonio dell’Unesco. Oltre alla sua importanza storica, Pompei ha un profondo legame con il vino, che risale a migliaia di anni fa, all’epoca romana, quando raggiunse il massimo splendore come polo commerciale e agricolo, grazie alla sua posizione strategica vicino al mare, alla fertile terra circostante e al clima mediterraneo. Rinomata per la produzione di vino di alta qualità, le sue rovine ne testimoniano l’importanza nella vita quotidiana dei romani e la sua influenza sulla società. Visitare Pompei significa immergersi in un passato ricco di storia e tradizioni vinicole che ancora oggi sono parte integrante della cultura campana, con diverse cantine che testimoniano la produzione del vino a Pompei con il leggendario Lacryma Christi. Numerose case e ville romane avevano i loro vigneti e cantine private, dove veniva prodotto il vino per uso personale e per la vendita, spesso dotate di grandi tini di legno per la fermentazione e l’invecchiamento. Gli affreschi e le decorazioni murali nelle case di Pompei spesso raffigurano scene di banchetti e feste, in cui il vino era una presenza costante. La scoperta di Pompei ha permesso agli archeologi di studiare in dettaglio la cultura del vino dell’antica Roma. Le bottiglie di vetro e le anfore rinvenute nelle rovine hanno fornito preziose informazioni sulla produzione e sul commercio del vino. Inoltre, i resti di uve e vinaccioli trovati nelle cantine hanno permesso di identificare attraverso il Dna le varietà di uva coltivate a Pompei, tra cui Falanghina, Coda di Volpe, Greco, Aglianico, Piedirosso e Sciascinoso, che testimoniano le lontanissime origini. Questa storia antica e affascinante ci trasporta indietro nel tempo. Svela i segreti del vino che ancora vivono nei vigneti e nelle cantine che raccontano di un passato ricco e glorioso. Tre produttori campani hanno omaggiato Pompei con progetti importanti e diversi. Nel 1996, la Soprintendenza Archeologica di Pompei ha incaricato la storica cantina Mastroberardino di guidare il progetto Villa dei Misteri, con il sostegno della Presidenza Italiana, per la reintroduzione della viticoltura nell’antica città. In circa un ettaro e mezzo all’interno dell’area archeologica, su cenere vulcanica, sono stati impiantati i vitigni Piedirosso e Sciascinoso, seguendo le tecniche degli antichi romani, con un sistema di impianto chiamato vigna a palo. Dal vigneto sperimentale è nato nel 2001 il Pompeiano Igt Villa dei Misteri, venduto all’asta e il cui ricavato è stato impiegato per ampliare e sostenere il progetto, che ha poi visto l’aggiunta dell’Aglianico impiantato ad alberello. Villa dei Misteri è l’unico vino che testimonia la grandezza della viticoltura della città di Pompei impiegando la botanica applicata all’archeologia. Nel 2015, i fratelli Di Meo hanno dedicato il tredicesimo capitolo del loro Calendario, “A Grand Tour around Vesuvius“, al rapporto tra Londra e l’ex Capitale del Regno delle Due Sicilie. Per l’occasione, hanno presentato per la prima volta a Londra, presso la Royal Academy, il Taurasi Docg Riserva Hamilton 2007, edizione limitata della linea Vini D’Arte. In etichetta, una scena dell’eruzione del Vesuvio, riproduzione della copertina del prezioso libro di Sir William Hamilton. Illustre diplomatico, vulcanologo, archeologo, antiquario e collezionista inglese visse a Napoli dal 1764 al 1800. Il 29 dicembre 1837, davanti Villa delle Colonne a mosaico a Pompei, la terra restituì alla luce un’opera d’arte della metà del I secolo d.C.: il Vaso Blu. Realizzato con la complessa tecnica del vetro cameo (consiste nel coprire di pasta vitrea bianca una superficie di vetro blu scuro e lavorarla rapidamente a rilievo prima che indurisca), il Vaso Blu è una piccola anfora vinaria decorata con una elaborata scena di vendemmia. Tralci di vite e foglie d’acanto, rami di quercia ed edera, papaveri e alloro, mele cotogne e rosa canina, amorini piccoli e paffuti raccolgono grappoli d’uva e vendemmiano suonando e danzando leggiadri. Roberto e Generoso Di Meo, affascinati dalle suggestioni dell’anfora, producono in collaborazione con il MAN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, per la prima e unica volta, il Taurasi Docg Riserva Vino Blu 2012. Inoltre, a ridosso dell’area archeologica degli scavi di Pompei, la famiglia Palomba ha dato corpo e sostanza al progetto vino di Pompei, con l’azienda Bosco de’ Medici (nata nel 2014 e con radici che vanno molto più indietro nel tempo). Il Dressel 19.2 è un omaggio al numismatico a archeologo tedesco Heinrich Dressel, esperto in decifrazioni sulle “amphorae” ritrovate a Pompei e al Monte Testaccio a Roma, risalenti all’impero romano. Il numero 19.2 si riferisce alla particella catastale del vigneto. L’origine della produzione restituisce attraverso il vino tutti i segreti della terra magica e tellurica che caratterizza il Vesuvio. Alcune dei vigneti di proprietà lambiscono la piccola necropoli di Porta Sarno datata II secolo a.C. I quattro vini Villa Dei Misteri, Hamilton, Vino Blu e Dressel 19.2, sono produzioni “fuori concorso” che sposano progetti che vanno ben oltre il vino stesso, offrendo al mondo del vino la storia del mondo. Personalmente seguo da sempre le cantine Mastroberardino, Di Meo e Bosco de’ Medici e ho avuto la possibilità di degustare le annate riportate. La grandezza delle iniziative che hanno mosso le produzioni va di pari passo alla bellezza dei vini.Tre produttori campani hanno omaggiato Pompei con progetti importanti e diversi: Mastroberardino, Di Meo e Bosco de’ Medici. Progetti che fanno rivivere la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio
Pompei e il suo legame con il vino
Antiche varietà riscoperte tramite il Dna
Mastroberardino e il progetto Villa dei Misteri
Di Meo, la riserva Hamilton e il Vaso Blu
Bosco de’ Medici e l’archeologo Dressel
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Antonella Amodio
Collaboratrice "speciale" della Guida Essenziale ai Vini d'Italia, dove si occupa della Campania e in parte del resto del Sud. Giornalista e sommelier. Appassionata di cucina e vino. Ha lavorato per oltre quindici anni in ambito vinicolo e ha collaborato a diverse edizioni delle guide Bibenda e Gambero Rosso. Attualmente scrive per DoctorWine e per altre testate anche con rubriche personali.
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