Siamo proprio sicuri che l’uso che facciamo dell’aggettivo autoctono riferito ai vitigni sia corretto?
Nei corsi e ricorsi storici del vino italiano siamo passati dall’esaltazione dei vitigni internazionali anni Novanta alla riscoperta dei vitigni autoctoni anni Duemila e questo trend prosegue felicemente tutt’oggi. Ma bisognerebbe chiedersi se l’uso della parola autoctono abbia un senso, così come la si intende abitualmente: nato in una determinata zona dalla domesticazione delle viti selvatiche.
Che cos’è un vitigno autoctono?
Se chiediamo a un consumatore di vino, magari anche esperto, cosa si intende per vitigno autoctono, non potrà che rispondere che è un vitigno nato nello stesso luogo in cui si è sviluppato (l’etimologia della parola significa “dalla stessa terra”) e si contrappone ad alloctono, cioè introdotto in una determinata zona da altri areali.
Ma basta ascoltare una conferenza-lezione del professor Attilio Scienza – una vera autorità in materia di genetica della vite – per rendersi conto che, alla luce dei più recenti studi sul DNA delle viti, che hanno permesso di ricostruire la storia e la “comparsa” dei vari vitigni in determinati luoghi, quella parola applicata alla maggior parte dei nostri vitigni è fuori luogo.
Prendiamo per esempio il Sangiovese: non è, come potremmo tutti pensare, un vitigno autoctono toscano né romagnolo, e comunque non è nato nel centro Italia, bensì in Calabria. E come lui, ce ne sono moltissimi che hanno trovato il loro territorio d’elezione in una regione diversa da quella in cui si sono sviluppati.
Terra natìa o migliore espressione?
Dovremmo quindi operare uno slittamento semantico dell’aggettivo autoctono quando è riferito a un vitigno e considerarlo non riferito alla terra in cui è nato, ma a quella in cui ha trovato la sua migliore espressione territoriale? Un determinato vitigno quindi sarà autoctono del territorio che l’ha accolto meglio e che gli ha permesso di sviluppare al meglio le sue caratteristiche? Sembrerebbe proprio di sì, se vogliamo considerare autoctono il Sangiovese in Toscana e non in Calabria, per rimanere nell’esempio succitato.
Ma chi può dirlo se, con i cambiamenti climatici in atto, quei determinati vitigni continueranno a dare il meglio di sé proprio nella terra che consideriamo la sua patria, e che in realtà non lo è?