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L’invenzione della tradizione: il caso Carbonara

Questo piatto, che per tutto il mondo è una ricetta storica romanesca, non è un piatto della cucina romana tradizionale, nasce nel dopoguerra, e ha molte interpretazioni, nessuna delle quali può essere contestata a pieno titolo.

Ada Boni nei suoi libri non ne fa menzione e già questo dovrebbe far riflettere. Eleonora Cozzella, che ha scritto qualche anno fa un formidabile libro dal titolo La Carbonara perfetta edito da Cinquesensi, fa un’analisi molto documentata dalla quale esce fuori che si tratta di una ricetta con molte interpretazioni, una delle più antica delle quali con il prosciutto crudo al posto di pancetta o guanciale.

Livio Jannattoni, autore del fondamentale Ghiottone Romano, edito da Bramante e ormai introvabile, e soprattutto de La Cucina romana e del Lazio per Newton Compton, la definisce con queste parole: «Piatti “quasi romani”, anche se nulla di tutto questo si ritrova nel nostro abituale testo di partenza firmato Ada Boni. Né vi si rintracciano gli Spaghetti alla Carbonara, alla cui denominazione si sono pure volute trovare origini e significati». Per Jannattoni l’ipotesi con maggiore fondamento sta nelle uova in polvere e nel bacon portati dalle truppe americane dopo il 1944. Bacon poi convertito in pancetta nostrana (all’epoca il guanciale era molto raro e costoso). Un’ulteriore ipotesi sarebbe legata al ristorante La Carbonara di Campo dei Fiori, il cui nome fu un tributo di affetto da parte di Andreina Salomone nei confronti del padre Federico, che già nel 1912, dopo aver avuto un negozio di vendita di carbone, aveva aperto una “trattoria del Carbonaro” in vicolo degli Osti. Una variante della pasta “cacio e ovo” abruzzese, con aggiunta di pancetta, divenne la “pasta alla Carbonara” e Jannattoni trovò in menu delle penne, non degli spaghetti.

Perché vi racconto tutto questo? Perché il piatto ha avuto un successo internazionale, piovono ricette di qua e di là, ma soprattutto c’è chi le attribuisce una “tradizione” del tutto inventata. La Carbonara non è un piatto della cucina romana tradizionale, nasce nel dopoguerra, ha molte interpretazioni e non è affatto vero anche bisogna farla solo con il guanciale, come ho sentito dire anche da famosi cuochi.

Non è un caso singolo. Accade con altre ricette e con molti vini che qualcuno attribuisca origini e tradizioni semplicemente inventate, forse nel tentativo di nobilitare questo o quello. Perché evidentemente ritiene che se qualcosa viene da lontano e ha valore “storico” sia migliore. Nella fattispecie cucino la “mia” Carbonara” dai tempi in cui ero studente, perché piaceva ai miei compagni di Università e la facevo a casa di questo o di quello. Usavo un bianco ogni due rossi d’uovo, pecorino e pancetta tesa. Spaghetti e non pasta corta, perché si scolano meglio e se c’è un nemico della Carbonara questa è l’acqua di cottura che fa impazzire la salsa se ne rimane un po’. Però se qualcuno usa il guanciale, un po’ di parmigiano se il pecorino è troppo salato, e adopera la pasta corta io non lancio anatemi. Per tutti i motivi che ho provato a raccontarvi.

Qui sotto riportiamo una delle tante possibili ricette, quella di Rosanna Ferraro che, come vedete, usa il guanciale ed è molto più “talebana” di me.

Ingredienti per 4 persone:

300 gr. spaghetti, 150 gr. di guanciale, 3 tuorli e 1 uovo intero, gr.200 di pecorino romano, pepe nero in grani.

Preparazione:

Le uova devono essere freschissime e non fredde di frigo.

Taglio il guanciale a striscioline non spesse, le metto in padella con un filo d’olio che, come dice il mio pusher del guanciale, aiuta a scogliere il suo grasso, lo faccio dorare. Deve essere croccante ma non bruciato. Poi lo scolo dall’olio per evitare che si riammorbidisca nell’attesa di essere usato.

Intanto batto le uova e unisco quasi tutto il pecorino. Aggiungo un po’ di acqua di cottura della pasta che intanto sarà quasi pronta e mescolo per ottenere una bella crema di pecorino.

Scolo la pasta ma non troppo e la butto in una padella sul fuoco. La giro con energia e con il forchettone di legno, quando comincia ad apparire la cremina bianca dell’amido spengo il fuoco e solo allora aggiungo la crema di pecorino.

Perché il pecorino cerca l’amido? “perché l’amido, con le sue lunghe catene di glucosio interferisce con la tendenza delle proteine a coagulare, impedendo o ritardando la formazione dei grumi del pecorino”.

A questo punto aggiungo il guanciale, un po’ dell’olio di cottura tenuto da parte (dipende da quanti stanno a dieta), il rimanente pecorino grattugiato e il pepe a pioggia che ho prima schiacciato nel piccolo mortaio di legno che ho ereditato da mia nonna. Splendido, ha stratificato un meraviglioso sapore di antico e di vecchie ricette, ma se passassero quelli delle Asl mi farebbero chiudere la cucina.

Continuo a mescolare la pasta per permettere all’uovo di rapprendersi ma smetto prima che diventi frittata.

Grande, no? e comunque, qualunque altro ingrediente è rigorosamente PROIBITO.

(Nella foto di apertura, la carbonara della chef Francesca Ciucci de La Ciambella Bar à Vin con cucina di Roma).

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