Poter bere Château d’Yquem e ascoltare le parole di chi lo vive ogni giorno come Lorenzo Pasquini, direttore dello Château, è un gran privilegio, da non dare mai per scontato.
A Château d’Yquem lavora l’enologo più piccolo del mondo, che dico piccolo… piccolissimo, anzi microscopico. Sto parlando della Botrytis cinerea, nella sua forma nobile si sa, che a Yquem è responsabile di circa il 70% del successo dei suoi vini facendo, di anno in anno, un lavoro straordinario. A dirlo non sono certo io, ma Lorenzo Pasquini, direttore dello Château, nel corso di una piccola ma molto significativa verticale tenutasi a Milano per la presentazione del catalogo di Cuzziol Grandi Vini, distributore per l’Italia di Château d’Yquem.
Cosa fa di un mito un mito?
Sicuramente tempo e costanza, l’esclusività e il savoir-faire. Vediamo quindi di riassumere i punti di forza che caratterizzano Château d’Yquem e lo posizionano in cima alle classifiche dei vini più famosi e importanti al mondo.
Primo aspetto, il tempo e la costanza nel tempo.
Fondamentalmente possiamo dire che per centinaia di anni lo Château è stato di un’unica proprietà. Fino al 1999 infatti non abbiamo visto cambi al vertice, questo ha fatto sì che oggi la stabilità manageriale sia uno dei suoi punti di forza. Il non essere mai (o quasi) passata di mano ha reso la proprietà consolidata nel tempo e costantemente monitorata da figure professionali che si sono conseguite negli anni forti della memoria storica di chi li ha preceduti. Un unico corpo aziendale che non è mai stato smembrato. E non è poco.
Secondo step, l’esclusività.
Cosa rende Château d’Yquem quello che conosciamo è il fatto che qui possiamo parlare di terroir a un livello potenziato. Un territorio dove si sono incontrati una serie di fattori favorevoli alla viticoltura e soprattutto a quel tipo di viticoltura, che prevede l’intervento della Botrytis in vigna, condizione senza la quale non si realizza il Sauternes. Yquem è 1er cru supérior. Si trova a sud della regione di Bordeaux, zona storicamente dedicata alle uve bianche. Questa posizione inoltre non presenta barriere naturali e i vigneti sono quindi costantemente cullati dal vento; vento che, senza incontrare ostacoli, prende facilmente velocità. Da qui la definizione di Yquem come “macchina del vento”. A consacrare la vocazione del territorio alla produzione di grandi vini è la naturale fonte di acqua e umidità costituita dalle falde nel sottosuolo. Umidità e ventilazione sono la combinazione perfetta per lo sviluppo della muffa nella sua forma più nobile. Mettiamoci infine che qui la composizione è molto complessa e fornisce diversi scenari in un’unica composizione. Parlando di esclusività, parliamo di rese. A Bordeaux la resa è: 1 pianta = 1 bottiglia. Ma a Château d’Yquem scende a 1 pianta = 1 bicchiere. Significativo, no?
Parte tre, savoir-faire.
Ecco, qui potremmo starci per ore, sarò breve e spietata se serve, ma come non parlare di lei, la muffa nobile che rende tutto unico e speciale. Si gioca tutto sul filo del rasoio, da una parte il marciume acido e la fine dei giochi, dall’altra il gioco si fa interessante. Cadere da una parte o dall’altra è determinante, a Château d’Yquem succede che si casca bene ed è quasi sempre possibile produrre il prezioso nettare. Lo sviluppo della muffa è favorito dal clima umido, la sua evoluzione verso la forma nobile, quindi larvata, dipende dalla costante ventilazione e conseguente clima secco. La muffa non si sviluppa in maniera uniforme, ecco perché è necessario fare diversi passaggi per cogliere il grappolo al momento giusto
Qui entrano in gioco i vendemmiatori, evidentemente esperti. Circa cento persone all’opera ogni anno, con un’età media di 63 anni. Tutti locali, tutti ex vigneron, figli di vigneron a completare il quadro del terroir. Lavorano di fino nel corso della vendemmia facendo affidamento unicamente su esperienza, osservazione e analisi olfattiva. Una faticaccia ripagata dal fatto che, è scientificamente appurato, grazie all’intervento della muffa in forma larvata si possono riscontrare fino a +50 precursori aromatici nelle uve rispetto alla versione non botritizzata. La muffa inoltre asciuga letteralmente le bacche andandone a concentrare naturalmente il contenuto e gli zuccheri e favorendo lo sviluppo di nuove componenti. Il contributo poi della Botrytis c. non termina ovviamente in campagna ma prosegue nel corso della vinificazione. Aromi caratteristici e caratteristiche chimiche del mosto con cui fare i conti in fermentazione sono il marchio di fabbrica di questo piccolo enologo di cui non si può fare a meno.
Concludo con qualche osservazione sul futuro di Yquem, nell’annata 2020 ultima rilasciata. Un’annata considerata non particolarmente tipica ma rappresentativa. La prima di conversione bio per lo Château. La vendemmia ha avuto inizio al 14 di settembre, terminata 29 ottobre (causa piogge) e avvenuta in 5 passaggi. Per quanto riguarda la cantina assistiamo a una visione di Yquem più moderna e futurista, affermazioni che mi permetto di fare sempre e solo in punta di piedi, sia chiaro. La “ricetta” in cantina è leggermente cambiata nell’ottica di fornire un prodotto sempre più integro, longevo e con aromi primari più durevoli, dal ridotto contenuto in SO2. Tutto questo è stato possibile anche intervenendo sulla sosta in legno. Più breve rispetto al passato e utilizzando legni dalla grana più fine e dalle tostature sempre più leggere. Tradotto nella pratica, meno travasi e un’ossigenazione (e ossidazione) più contenuta. Evidentemente la componente annata è sempre determinante, è lei che decide se questo vino si può realizzare o meno. Da lì in poi il compito dell’essere umano è quello di assecondare la materia prima, di tanto in tanto dando il proprio contributo in termini di innovazione.
Poter bere Château d’Yquem e ascoltare le parole di chi lo vive ogni giorno è un gran privilegio, da non dare mai per scontato. Cerco di trasmettervi quanto ho provato con la descrizione del vino che potete leggere cliccando sul nome qui sotto.