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Silvano Formigli, un grande professionista

La grande preparazione, la passione, l’entusiasmo sono state alla base del lavoro di Silvano Formigli fin dall’inizio e forse, quando lui decise di ritirarsi, iniziò la fine dell’epoca delle grandi passioni legate al mondo del vino.

Sono passati più di quarant’anni, ma ricordo perfettamente il momento nel quale ho conosciuto Silvano Formigli. L’anno era il 1982, me lo presentò una sera un comune amico, Enrico Rinaldi, che faceva il rappresentante di commercio a Roma. Silvano era da poco divenuto il responsabile commerciale del Castello di Ama, allora semisconosciuta azienda chiantigiana che si affacciava sul mercato per la prima volta. “Devo farti conoscere una persona eccezionale – mi disse Enrico, – uno che di vino sa tutto”.

Ci incontrammo in un wine bar, davanti ai primi vini prodotti dal Castello di Ama, il Chianti Classico del 1979 e il Chianti Classico Vigneto Bellavista del 1978. All’epoca andavano di moda vini possenti e un po’ “marmellatosi”, come si usava dire. Quelli erano se possibile il contrario. Silvano, con il suo inconfondibile accento toscano, a me che ero alle prime armi ma già qualcosa capivo, me li descrisse perfettamente. “I vigneti sono a 500 metri sul livello del mare, è logico che i vini si esprimano in questo modo. Sono taglienti e agili, l’acidità è evidente. Ma guarda che il vero Chianti Classico è stato sempre così”.

Abbiamo fatto amicizia subito e da allora, e per i decenni successivi, nacque fra noi un rapporto stretto, di stima reciproca, quasi di complicità. Quando alla fine degli anni Ottanta Silvano lasciò il Castello di Ama dispiacque quasi più a me che a lui. “Ma ho un progetto in testa, una distribuzione di piccole aziende. La chiamerò Selezione Fattorie, con le lettere S e F che ricordano le mie iniziali, Silvano Formigli. Non è una belle idea?”. Eravamo nel 1989. La Selezione Fattorie iniziò con nomi altisonanti. Uno per tutti, il Castello di Fonterutoli. Poi arrivarono i vini dell’Abbazia di Rosazzo, l’olio extravergine del Giachi di Mercatale, e tanti altri.

Silvano, forte dell’esperienza con Ama, divenne una delle star del mondo commerciale del vino, conosciuto e stimato da tutti, soprattutto dai suoi clienti. E per tutti gli anni Novanta le cose andarono alla grande. Poi un po’ di stanchezza, il lavoro che diventava sempre più pesante, nonostante l’aiuto costante di sua moglie e l’entrata in scena dei figli.

Agli inizi degli anni Duemila una telefonata. “Sai, ho deciso di fare un passo indietro. Farò più il nonno e lavorerò molto meno”. Forse con lui stava finendo l’epoca delle grandi passioni legate al mondo del vino. Quel romanticismo che è stato la base comune del mio e del suo lavoro, e che si stava trasformando sempre di più in un atteggiamento più professionale, magari, ma molto meno coinvolgente dal punto di vista emozionale.

Qualche anno dopo io lasciai il Gambero Rosso per motivi simili, e in quei momenti mi sono state più chiare le parole di Silvano. Io poi ho fatto altro, ho tentato di rilanciare, ma di certo quegli anni formidabili non possono più tornare.

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