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La deriva acidistica dieci anni dopo

deriva acidistica

Daniele Cernilli riprende un editoriale di dieci anni fa, che tratta di un tema che è ancora all’ordine del giorno fra esperti, critici e anche enologi.

Confesso che quel mio articolo mi sembra meno vecchio di quanto ricordavo e per questo ve lo ripropongo.

La deriva acidistica

Eleganza o magrezza? Una riflessione su bevibilità, equilibrio e derive acidistiche

Non mi preoccupa molto che i miei bianchi del 2012 siano esili e citrini, e per di più prodotti in quantità molto esigua, vista l’annata. Qualche italiano che li apprezzerà ci sarà di sicuro. Lì c’è gente che scambia i vini magri per vini eleganti…”.

Un commento che fa discutere

Non vi voglio dire chi ha pronunciato queste parole – che, peraltro, mi sono state riferite e non ho sentito con le mie orecchie. Ma chi le ha raccolte era in Borgogna, a Meursault, e il produttore in questione fa vini proprio in quella zona.

Del resto, non è tanto importante chi ha detto una frase del genere: conta il senso del discorso e la neanche tanto velata accusa di ingenuità rivolta ad alcuni appassionati e piccoli importatori italiani da parte di un vigneron bourguignon.

Ha ragione? Forse sì, secondo me, almeno in parte

Negli ultimi anni un concetto di “bevibilità” un po’ esasperato sta facendo perdere di vista, a qualche enofilo, quello ben più importante di equilibrio.

Il risultato?

  • In alcune guide compaiono vini considerati minori dai produttori, premiati al posto dei top di gamma.
  • Vini di annate piccole preferiti a quelli di annate più importanti.
  • Bianchi citrini ed esili elevati a straordinari esempi di eleganza e – appunto – di “bevibilità”.

Tannini vs acidità: non sono la stessa cosa

Vale la pena ricordare qualche punto essenziale quando ci si avvicina al vino in modo non banale:

  • mentre i tannini polimerizzano e si ammorbidiscono con il tempo (a patto che siano maturi),
  • l’acidità è fissa e resta più o meno quella che è.

Tradotto: un eccesso di tannino in gioventù può essere un peccato veniale, mentre un vino troppo aspro resterà tale, senza evolvere in modo significativo.

A proposito, il pezzo che Vinogodi ha dedicato ai “bianchi sfigati” è illuminante (l’articolo – che presentava una sfida tra Trebbiano e Aligoté – uscì nel 2013 e non è più on line, vedremo di riproporne un aggiornamento, n.d.r.). Solo grandissimi interpreti riescono, almeno in parte, a nobilitare vitigni piccoli, e comunque serve una vendemmia adatta, capace di dare vini equilibrati

Un appello agli appassionati

Capisco l’entusiasmo e le buone intenzioni di molti appassionati e dei critici in erba. Però, per favore: i vini aspri e le derive acidistiche trattiamoli per ciò che sono: limiti, se non veri e propri difetti. Non certo esempi di qualità estrema da sbandierare in nome di un mal posto ideale di bevibilità che, in questi casi, non si capisce davvero.

3 commenti

Marco 8 Dicembre 2025 at 15:05

Sacrosanto. Si sta scambiando l’equilibrio di un vino con l’enoanoressia. Un grande vino non puo’ essere magro o acido, scarico di ampiezza e struttura. Ma il tutto come sintesi sinfonica dei parametri.

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Alessandro 10 Dicembre 2025 at 16:10

Vogliamo considerare anche la volatile alta un limite? O grande difetto? Qualche anno fa’ non era molto d’accordo.

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Antonio Battisti 10 Dicembre 2025 at 17:14

Pienamente d’accordo, e gli esempi citati sono molto opportuni e pertinenti. Cantare un po’ (o anche un bel po’ ) fuori dal coro: sono buoni soltanto vini molto fruttati, o morbidi e con un certo residuo zuccherino, oppure sono buoni più di altri i vini con acidità tagliente, citrini, tutti spostati sui toni agrumari o verdi, attira l’attenzione e crea tendenze. Il vino vive e va valutato in un contesto di equilibrio, sia in quel momento, sia in prospettiva. E le basi di conoscenza, per una valutazione adeguata e consapevole, sono indispensabili.

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