L’impiattamento ha assunto sempre maggiore importanza: se un piatto è bello da vedere oltre che buono al palato lascerà nella nostra memoria un ricordo ancora più piacevole.
Quante volte abbiamo sentito la frase “Si mangia prima con gli occhi“? Pensate che è di Marco Gavio Apicio, cuoco, gastronomo e scrittore romano vissuto nel I secolo a.C., quest’espressione arrivata fino ai nostri giorni che sottolinea l’importanza della presentazione dei piatti. Scienziati e neurologi oggi confermano l’esattezza di questo aforisma anche nel campo delle neuroscienze affermando che mangiare, così come respirare, è necessario per la sopravvivenza e nell’uomo questa funzione si basa principalmente sulla vista attivando tutta una serie di reazioni legate alla soddisfazione di una necessità primaria ma che è legata a doppio filo anche alle sensazioni di piacere e ricompensa. Di qui il passo deduttivo è breve: se un piatto è bello da vedere oltre che buono al palato lascerà nella nostra memoria un ricordo ancora più piacevole.
L’arte della tavola all’estero
Nei luoghi del mondo e nelle culture dove il cibo non è più legato alla sussistenza, l’arte della tavola ha assunto un valore diverso lasciando posto alla ricerca del piacere a tutto tondo.
Già nel XVI secolo, in Giappone, se pensiamo alla tradizionale cucina Kaiseki, rimaniamo a bocca aperta per la precisione con la quale gli ingredienti vengono assemblati nel piatto per dare vita a dei piccoli capolavori per gli occhi prima che per il gusto.
In Francia, le creazioni di Marie-Antoine Carême, nei primi dell’800, con le sue torte agghindate come delle opere architettoniche. In tempi più recenti, la vera e propria “rivoluzione francese” degli chef del XIX secolo come Auguste Escoffier, fautore dell’eleganza del piatto (basti pensare che fu direttore delle cucine dell’Hotel Savoy di Londra e del Ritz di Place Vendôme a Parigi) e Paul Bocuse che ha fatto la storia dell’alta cucina dando nome anche al premio internazionale Bocuse d’Or, durante il quale ogni anno chef da tutto il mondo si sfidano a colpi di ricette che stupiscono innanzitutto per la loro bellezza estetica.
Stupire è quindi diventata quasi una parola d’ordine. La mente corre a Ferran Adrià, chef spagnolo originario del sobborgo di Barcellona Hospitalet de Llobregat, che ha rivoluzionato la cucina contemporanea con quella che è stata definita “cucina molecolare” fatta di sferificazioni, azoto liquido e sifoni: piatti che sono delle creazioni progettate per stupire gli ospiti e dare multisensorialità al piatto.
Al giorno d’oggi sembra quasi scontato dare importanza all’impiattamento tanto che per alcuni chef è diventata una vera forma d’arte che coinvolge, oltre alle doti in cucina, anche doti di creatività, cultura estetica e una buona dose di precisione.
La visual art gastronomica in Italia
In Italia è Gualtiero Marchesi il cuoco-icona che ha portato sulla tavola una delle massime espressioni di impatto visivo legato alle ricette: il suo “Dripping di pesce” ispirato ai quadri di Jackson Pollock ha fatto la storia della gastronomia italiana più recente. Ma anche Davide Oldani, nel suo ristorante D’O di San Pietro all’Olmo, con il piatto “Battuta d’Inizio”: il campo da tennis? un piatto verde rettangolare con le strisce bianche; la pallina? una sfera gialla che è una mousse di gorgonzola; l’erba? il teff germogliato; il cucchiaio? Ma ovviamente a forma di racchetta. Talmente particolare che quasi dispiace rovinare la composizione e ci si trova a sorridere divertiti e ben disposti. Poi è anche tutto buonissimo ma diventa quasi scontato che lo sia. I cioccolatini che accompagnano il caffè di fine pasto diventano pedine bianche e nere di una dama e si gioca a mangiarli sfidando il commensale.
Da Massimo Bottura, il più grande cuoco italiano dei giorni nostri, c’è la sua “Oops! Mi è caduta la crostata al limone”. Un dessert nato grazie a un errore. “La prima volta – racconta lo chef – mentre il critico gastronomico Andrea Grignaffini sedeva in sala, il dessert scivolò dalle mani di Taka (Takahiko Kondo, suo fido collaboratore) e la crostatina si schiantò sul piano di lavoro. Da lì l’intuizione di servirla così, per celebrare la bellezza dell’imperfezione, una perfetta visual art gastronomica”. Quella piccola esplosione è riprodotta quindi nel piatto da portare in sala e anche il piatto stesso è scelto appositamente per quel dolce. Ogni elemento ricrea il “danno” di una squisita crostatina al gusto di limone che è rovinosamente finita in mille pezzi.
Fantasia, gioco, colori, arte, tecnica, eleganza, design e gusto si rincorrono per rendere l’esperienza a tavola quanto più coinvolgente e piacevole non solo per le papille gustative ma anche e forse soprattutto per la vista: come una fotografia tangibile di sapore.
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