Come le insegne della GDO costruiscono la loro offerta di vino: equilibrio tra grandi brand e scelte più ricercate, localismo e personalizzazione. Ce ne parla Pietro Rocchelli.
C’è un’idea sbagliata che ancora circola nel settore: i supermercati selezionano i vini in base al prezzo, puntando solo su etichette commerciali e prodotti facili. La realtà è molto più articolata. La costruzione di un assortimento di vino in GDO è un delicato gioco di equilibri tra margini commerciali, identità di insegna, esigenze dei consumatori e strategie commerciali. Ogni bottiglia non è lì per caso.
Quanti vini, quali vini?
Il primo problema è la selezione. Il consumatore medio non ha voglia di scegliere tra mille referenze. Vuole chiarezza. Le insegne lo sanno e negli ultimi anni hanno affinato la segmentazione. Non si tratta solo di dividere tra vini entry-level e premium, ma di creare percorsi d’acquisto più mirati. Da un lato, una base solida di grandi nomi riconoscibili che danno sicurezza. Dall’altro, una selezione sempre più attenta di etichette a valore aggiunto: biologici, vitigni autoctoni, progetti sostenibili, produzioni territoriali limitate.
Secondo i dati Circana, il 2024 ha confermato un calo dei volumi (-3,4%), ma la sostanziale tenuta del valore (+0,8%) suggerisce che la vera battaglia si sta spostando dalla quantità alla qualità. Le insegne stanno premiando vini con un’identità chiara, capaci di giustificare un prezzo più alto.
Il tronco comune e le radici locali
Se è vero che in ogni punto vendita ritroviamo un nucleo di referenze comuni, è altrettanto vero che cresce la tendenza alla personalizzazione locale. Le catene più attente stanno modulando gli assortimenti in base alla regione, alla città e perfino al quartiere. Un supermercato di Milano avrà una selezione diversa da uno di Bari o di Torino.
Questa spinta al localismo non è solo una risposta ai gusti dei consumatori, ma anche un modo per differenziarsi dalla concorrenza. La personalizzazione aumenta la fidelizzazione e rafforza la percezione di un assortimento studiato, non generico.
Il rischio dell’eccesso di referenze
Avere una scelta ampia è un vantaggio? Solo fino a un certo punto. Troppi prodotti creano confusione e rallentano le vendite. Il modello americano, che punta su assortimenti più snelli ma mirati, sta ispirando anche la GDO italiana.
L’errore di fondo è pensare che più etichette equivalgano a più opportunità di vendita. Al contrario, semplificare l’offerta e dare più spazio a prodotti selezionati può portare risultati migliori. Il vero nodo è trovare il giusto equilibrio: dare varietà senza disperdere l’attenzione del cliente.
Conclusione: la GDO come regista, non solo come vetrina
L’assortimento del vino nella grande distribuzione non è una lista di etichette messe a scaffale senza criterio, ma è frutto di una precisa strategia di posizionamento. La selezione non è mai neutra: guida i gusti, determina la percezione del mercato e può influenzare la crescita di intere categorie di prodotto. Le insegne lo hanno capito, e sempre di più vedremo assortimenti costruiti con una logica più chiara e sofisticata, capaci di intercettare una domanda in trasformazione.