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Il vino-legno

Il vino legno

Siamo giunti alla terza categoria individuata da Stefano Milioni, quella del vino-legno. Un tipo di vino che corrisponde a uno standard gustativo mondiale, purché il legno sia ben dosato.

Il vino-legno domina la scena da qualche secolo ed è il risultato del convergere di fattori casuali e intuizioni tecnologiche che hanno portato ad una codifica, universalmente accettata, dei parametri di qualità dei vini moderni. 

Il fattore casuale consiste nell’avvento dei contenitori di legno. Via via, nelle cantine, hanno sostituito anfore, orci e vasche in pietra e muratura. L’intuizione, nell’aver compreso che questi nuovi contenitori non erano solo recipienti ma vere e proprie macchine enologiche che intervenivano nella maturazione del vino. Lo miglioravano pur trasformandolo dal punto di vista gustativo, ne uniformavano le caratteristiche salienti rendendo più simili i vini di diverse provenienze e vendemmie. Gli conferivano longevità allungando non poco la stagione della sua commerciabilità.

Il vino-legno, uno standard gustativo mondiale

Non è casuale che la terra primigenia del vino-legno sia Bordeaux e che quello sia il luogo in cui da sempre il mercato è nelle mani dei négociant, ovvero gente attenta proprio a quelle caratteristiche di stabilità organolettica e temporale che garantisce un vino (ben) affinato in legno. 

Ma non è altrettanto casuale che il vino-legno sia diventato uno standard mondiale. Primo cimento di chiunque voglia misurarsi, nel vecchio come nei nuovi mondi, con i mercati internazionali. Uno standard gustativo che negli ultimi trenta anni ha rapidamente sceso i gradini della piramide qualitativa spingendo i più smaliziati produttori di massa (leggi: australiani e cileni) a riscoprire antiche tecniche di arricchimento in tannini (oggi si chiamano “chips”, Sante Lancerio, lodandone l’impiego, le chiamava “tacchie”) utilizzandole per produrre vini-legno a basso costo e con enormi potenzialità di mercato.

I produttori italiani si sono accorti con molto ritardo di questo trend e, quando ne hanno acquisito consapevolezza. Vi si sono buttati con l’entusiasmo (e l’ingenuità) dei novizi mirando immediatamente a “battere” i dominatori del mercato, ovvero i grandi château bordolesi. Qualcuno, come il Sassicaia, ha anche vinto gloriosamente la sua battaglia. Ma è così evidente che i “nostri” sono talmente carenti in unità, equipaggiamenti ed organizzazione che la guerra non potranno mai nemmeno sognare di vincerla.

Il vino-legno italiano, insomma, con la sola eccezione delle due roccaforti del Brunello e del Barolo, peraltro in perenne stato di ristrutturazione, appare come un grande mosaico in cui ogni singola tessera splende per bellezza, colore ed intensità di luce, ma l’immagine d’insieme continua ad apparire sfuocata, di quelle in cui ciascuno riesce a vederci quello che vuole.

Articolo tratto da “RuvidaMente.com”, per gentile concessione dell’autore Stefano Milioni: Le 6 facce del pianeta vino – RuvidaMente by Milioni [/vc_row]

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