Una visita all’azienda Scuppoz ha permesso a Iolanda Maggio di effettuare un viaggio immersivo a tutto tondo nel mondo dei liquori artigianali dal cuore abruzzese, alla scoperta di Genziana, Ratafià, Gin e bitter…
Nel dialetto abruzzese “Scuppoz” è una parola onomatopeica che richiama lo schiocco dei calici durante un brindisi festoso. Da qui il nome di questa azienda che produce liquori artigianali vicino Teramo, a Campli. Ci accoglie per la visita Anna Iannetti, nuora del fondatore Benito Cicconi, moglie del figlio Adriano. Benito, appassionato di erbe e infusi, crea il primo laboratorio negli anni ‘70. L’azienda nasce poi ufficialmente nel 1982 a Valle Castellana, Frazione Colle, vicino al Cippo 592 (numero riportato sulle cassette di legno per le confezioni aziendali). I cippi di confine dividevano il Regno della Chiesa dallo stato borbonico.
Anna Iannetti, l’anima calda di Scuppoz
Anna Iannetti è un fiume in piena di entusiasmo e passione travolgente. Scuppoz è lei ma come il fragore di una cascata che scava anche le pietre più dure. Con la sua determinazione ci racconta orgogliosa della produzione di famiglia.
Fiera della naturalezza dei liquori prodotti
Anna ci parla della genziana che coltiva e produce. Ci spiega come la genziana sia una delle piante arbustive più tutelate sul territorio italiano. Di quanto sia rara e in via di estinzione, tanto da essere protetta dalla legge 45 del 1979. “C’è il penale. Se ti trovano a raccogliere genziana non solo ti becchi una bella multa ma ti fai anche qualche giorno in galera. Quella, insieme al muschio, tiene insieme la terra dove sotto è tutta roccia, altrimenti frana a valle”, dice con la sua parlata cristallina e veloce.
La Genziana
La genziana è considerata la pianta più amara in natura. Ci vogliono 12 anni affinché una pianta produca semi per poterla riprodurre e di questi semi ogni 1.000 nasce una piantina, tanto per capire quanto sia preziosa. I semi impiegano anche più di un anno a germinare. Le piantine poi hanno bisogno di 5-6 anni per raggiungere la maturità e soltanto intorno ai 10-12 anni avviene la prima fioritura.
“E allora come fare? Avremmo potuto importarla ma noi la volevamo coltivare. Abbiamo individuato un terreno perfetto a 2000 metri, ma anche la burocrazia ci metteva i bastoni tra le ruote. Noi donne però siamo caparbie! – e l’occhio le guizza vispo e complice – quando ci mettiamo in testa una cosa non ce la toglie nessuno. E ce l’abbiamo fatta. La nostra è stata la prima coltivazione di genziana in Italia, circa una decina di anni fa”.
Ci vorrebbe un disciplinare per i liquori artigianali
La genziana ha tantissime proprietà tra cui febbrifughe, toniche, vermifughe e aiuta la digestione. “Se ne sono accorti i pastori – prosegue la “voce” di Scuppoz – quelli che portavano le pecore in transumanza. Loro notarono che le pecore erano tutte intente a leccare la pianta di genziana, masticavano le radici. Per quello abbiamo dato il nome Genziana delle Pecore alla nostra”.
“I disciplinari che riguardano i distillati e i liquori in Italia sono stati pensati per la grande distribuzione – continua Anna decisa – , noi non ci rientriamo perché i nostri liquori contengono meno zucchero, meno di tutto, pochi ingredienti. Stiamo lavorando affinché venga approvato un disciplinare nuovo, dedicato ai liquori artigianali che ancora non esiste. Perché queste tradizioni vanno tutelate”.
Prosegue Anna, un vero fiume in piena: “I nostri liquori li vogliamo ‘come una volta”’ puliti. Brutti. Il colore non viene corretto con caramello e cose artificiali. Anche il nostro limoncello io lo chiamo Limoncello brutto, perché è chiarissimo e alla luce diventa sempre più bianco. Non come quelli gialli gialli che vedi nei supermercati. In questa azienda è tutto naturale, non aggiungiamo tanto zucchero, il vino poi è quello che si fa qui, il Trebbiano.” incalza Anna, consapevole che il tempo della visita è poco per raccontarci tutto quello che vorrebbe. “Nella nostra produzione più dell’80% di quello che utilizziamo viene dai produttori della zona”.
La ratafià, un liquore antico
Ci parla poi della sua Ratafià, mentre i suoi bellissimi figli Simone e Benedetta passano educati con i bicchierini per gli assaggi. Il nome Ratafià deriva dal latino “ut rata fiat”, sia ratificato l’atto. Quando ancora in tanti non sapevano né leggere né scrivere i contratti e gli accordi si facevano con una stretta di mano. La parola data aveva un peso enorme, come un contratto davanti a un notaio. “Si beveva questo liquore, rosso come il sangue, perché si trattava di un patto di sangue. Da un lato la Ratafià dall’altro la pistola… e una stretta di mano bastava”. La Ratafià esiste in tante regioni italiane, con le visciole in Piemonte e in Ciociaria. Quella Scuppoz è a base di amarene e vino Montepulciano. Un connubio armonioso di dolcezza e il delicato amaro del frutto che sembra freschissimo all’assaggio.
La pulizia e nettezza dei sapori contraddistingue tutta la gamma che col tempo si è ampliata. Ora c’è l’amaretto, l’anice stellato che era immancabile nelle case dei nonni e ci si correggeva il caffè, la liquirizia (si succhiavano le radici di liquirizia a mo’ di caramella, quando queste non c’erano. I pastori sempre di ritorno dalla transumanza le regalavano ai bambini e le nonne dicevano “succhia succhia che poi viene il dolce”).
Non si dimentica il bere miscelato
C’è la linea dedicata al bere miscelato come il Gin Scorretto (chiamato così per l’aggiunta di aromi particolari come erbe mediterranee, cardamomo, rosmarino, basilico), il Gin Bottanico (molto botanico, molto naturale) e il Better (“come il bitter, solo better perché noi lo facciamo più buono” dice Anna).
Insomma, per farla breve. Una visita in questa distilleria è un viaggio immersivo a tutto tondo nel mondo dei liquori artigianali dal cuore abruzzese.. Liquori schietti e sinceri come le persone che li producono. Gente dal cuore grande e dalla volontà di ferro. Le tradizioni centenarie che si intrecciano a nuovi racconti. Una mano tiene stretto il passato e l’altra riscrive il futuro per non perdere la continuità con le cose buone che fanno bene. Le “medicinette” abruzzesi le chiamano appunto.