La quarta generazione della famiglia Varvaglione è molto sensibile al tema della sostenibilità sia sociale che ambientale. Annalucia Galeone è andata a vedere quali sono le buone pratiche adottate.
Marzia, Angelo e Chicca rappresentano la quarta generazione della famiglia Varvaglione, produttori di vino alle porte di Taranto. Nel tempo l’azienda è cresciuta, ha investito e continua a farlo consolidando la presenza del brand Varvaglione 1921 sui mercati sia nazionale che esteri.

La cantina, che fa della conduzione familiare il proprio punto di forza, è riuscita a creare un legame emozionale con i consumatori. Valorizzando le radici culturali e storiche del luogo di origine. Grande attenzione è rivolta al territorio, sono nate sinergie con imprese del posto. Per farlo apprezzare e conoscere meglio ai locali e non, puntando sul senso di appartenenza, il rispetto e il valore della conservazione dello stesso senza dimenticare di introdurre metodi produttivi innovativi.
Marzia si occupa del marketing e sviluppo, Francesca, “Chicca”, è l’enologa, a completare l’organizzazione strategica dello staff con un ruolo chiave e ancora poco conosciuto è Angelo che è diventato sustainability manager.

“La parte più importante del mio lavoro è la sostenibilità finanziaria che si focalizza sul cost killing. L’eliminazione dei costi superflui durante l’intera filiera per avere una maggiore disponibilità economica e quindi risorse da investire nella sostenibilità sociale, ambientale e governance – afferma Angelo Varvaglione -. La sostenibilità ambientale ai vigneti è correlata a quella finanziaria dato che le buone pratiche portano sì alla riduzione dell’impatto ambientale ma anche ad un minor costo di produzione”.
Le buone pratiche introdotte per fare la differenza:
LOMBRICOMPOSTAGGIO
- Il “lombricompostaggio” viene utilizzato per creare un ciclo biologico naturale che parta dai nostri scarti di vendemmia per portare, tramite la digestione di questi scarti da parte dei lombrichi, alla produzione di humus. Questo humus sarà successivamente utilizzato nei vigneti per migliorarne la fertilità del suolo e quindi la qualità delle uve. Ecco è un ottimo esempio di economia circolare dove da uno scarto viene creato del valore, in questo caso autoproducendo il concime per i nostri vigneti e andando così a ridurre l’impatto del cambiamento climatico sul suolo che anno dopo anno rischia di diventare meno fertile.
USO DEI DRONI
- I droni hanno invece la funzione di monitorare lo stato nutrizionale della pianta. Questo dato è fondamentale perché attraverso la nutrizione della vite controlliamo il suo stato di salute e la qualità dell’uva. Andando ad intervenire in maniera precisa dopo aver elaborato una mappa del vigneto attraverso l’utilizzo del drone, con le sue relative carenze, agiamo in maniera super precisa (quasi pianta per pianta) evitando così di sprecare acqua e fertilizzanti.
AUTONOMIA ENERGETICA
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Francesca Varvaglione L’autonomia energetica invece riguarda il lato “cantina” della filiera. Sappiamo che le aziende vinicole sono energivore in quanto necessitano esclusivamente di energia elettrica per far funzionare tutti i macchinari al suo interno. Abbiamo deciso di diventare completamente autosufficienti a livello energetico investendo in pannelli fotovoltaici che abbiamo impiantato sui tetti dei nostri edifici.
Abbiamo raggiunto una potenza tale da poter essere indipendenti energeticamente al 100%, quando il Gse ci permetterà di immettere in rete il 100% dell’energia prodotta, azzerando così quasi completamente la nostra impronta carbonica e risparmiando in bolletta. In futuro puntiamo a creare una nostra comunità energetica con la sovrapproduzione di energia elettrica, nella quale far entrare i nostri collaboratori ed i nostri vicini.
Inoltre, con ulteriori investimenti in robotica vorremmo arrivare a gestire i nostri vigneti come se fossero a conduzione biodinamica ma utilizzando al posto dei cavalli dei mezzi di ultima generazione, con guida indipendente ed elettrici.Varvaglione, veduta dall’alto