Daniele Cernilli si pone, e ci pone, molte domande su cosa ci aspetta nel futuro del vino.
Bisogna cambiare tutto nel vino? Comunicazione, linguaggio, e poi una minore importanza di origini e tradizioni? Un vino che si manifesta in modi diversi dal passato e che si dovrà raccontare con uno stile “pop”, giovanile, semplice? Ė questo che ci aspetta?
Di certo se ne parla molto. Dopo molti anni, si discute anche di come impostare i corsi futuri da parte delle maggiori associazioni della sommelierie, che sono frequentati da migliaia di persone ogni anno. Un po’ meno che in passato, però, e questo è stato il motivo principale della loro riflessione.
Certo, il rischio di “buttare via il bambino con l’acqua sporca del bagnetto” potrebbe esserci. E questo non per rimpiangere un modo un po’ stantio di affrontare i temi legati al vino, ma per sottolineare come alcuni aspetti culturali siano proprio quelli che hanno fatto del vino qualcosa di differente da una semplice “cosa da bere”.
Origini e tradizioni stanno anche a significare l’unicità di questo o quel vino, il modo per distinguerlo, per collocarne le caratteristiche in un contesto specifico. Poi, se all’interno delle diverse manifestazioni ci saranno anche i “vini dealcolati”, uno dei possibili rischi non è anche quello di abbandonare l’origine privilegiando il sistema di produzione? Non è anche questo un modo per banalizzare e per uniformare attraverso una sorta di “accanimento tecnologico”?
Non ho risposte precise, ma solo molte domande e qualche perplessità. Ci aspetta il Vinitaly a breve, vedremo cosa succederà. Il momento è difficile, i mercati lentissimi, le ragioni le abbiamo discusse anche qui con molti pareri che avete espresso commentando gli scorsi editoriali.
Vedo in giro molto impegno da parte dei produttori, che viaggiano, girano, cercano di reagire. Auguro loro di tenere duro. Come dice Eric Draven nel film Il corvo – The Crow (1994) “non può piovere sempre”, e loro sanno bene a cosa si riferiscono.