Questo mercoledì Stefano Milioni ci porta a Napoli per scoprire che i “mangiamaccheroni” sono diventati tali solo grazie alla dominazione spagnola. E che la pasta secca attendeva un convitato straniero per diventare un piatto da gourmet.
Contrariamente a quanto ognuno immaginerebbe, fino al XVIII secolo, a Napoli la pasta non è un cibo primario. Anzi, fino a quell’epoca, i Napoletani venivano chiamati “mangiafoglie” per la prevalenza del consumo di verdure nella loro alimentazione.
Ma, con l’avvento del dominio spagnolo, caratterizzato da una dissennata gestione dell’amministrazione pubblica, le problematiche di carenza delle scorte alimentari si fanno sempre più frequenti e più gravi, e questo diventa lo stimolo per un utilizzo massiccio della pasta secca come scorta alimentare, pasta secca che diventa sempre più affidabile da questo punto di vista grazie all’impiego, nella sua produzione di due nuove “macchine”, la gramola e il torchio, che permettono di ottenere, per la prima volta, una pasta simile, per struttura e risultato finale, a quella che mangiamo noi oggi.
Da “mangiafoglia” a “mangiamaccheroni”
Il perdurare di questo stato di emergenza per tutta la dominazione spagnola fece sì che i Napoletani, nel corso di due secoli si trasformassero da “mangiafoglia” in “mangiamaccheroni” e con questo nome fossero conosciuti ovunque a partire dal XVIII secolo.
Ancora una volta, vediamo che la pasta diventa l’emblema di un popolo non per meriti gastronomici, perché era un cibo che dava piacere e che si era orgogliosi di mangiare, ma solamente per combattere la fame e la povertà.

Negli stessi anni, infatti, e fino alle soglie del XIX secolo, nelle case dei nobili e dei potenti trionfava la cucina raffinata, ricca di paste fresche e ripiene e il loro uso, lentamente, si diffondeva tra le classi più agiate, testimoniato dall’aprirsi sempre più frequente, soprattutto nelle città del nord Italia, di botteghe di pastai, artigiani specializzati che preparavano e vendevano sempre e solo pasta fresca.
Un’invenzione tutta italiana
Dopo questa veloce passeggiata nei secoli, possiamo tranquillamente affermare che la pasta secca è un’invenzione culinaria unicamente e tipicamente italiana e la cui preparazione e consumo si diffuse in tutta Italia per una combinazione di numerosi eventi e condizioni storico-sociali.

Allo stesso tempo, la pasta sembra aspettare da secoli il suo tempo, in attesa di un catalizzatore che desse lo slancio necessario per il raggiungimento del suo pieno potenziale: l’elevazione al rango di alimento primario capace non solo di soddisfare la fame ma anche di rallegrare il palato.
Un alimento per poveri
Fino al XVIII secolo il consumo di pasta era essenzialmente riservato ai poveri, che la adottarono principalmente per la sua lunga capacità di conservazione e per il suo eccezionale valore nutritivo, non perché la trovassero particolarmente appetitosa. Di solito veniva bollita e consumata da sola o insaporita, al massimo, con un po’ di formaggio grattugiato.
Come piatto, presentava poca o nessuna raffinatezza e non si facevano storie nel presentarlo. I vermicelli venivano presi dal piatto con le mani e portati alla bocca, senza tante cerimonie.
Solo quando è stata abbinata al pomodoro la pasta è diventata un vero e proprio “piatto” e un elemento base della dieta, che ha ispirato i cuochi a ideare ricette da pubblicare e diffondere.
Ne parleremo diffusamente la settimana prossima.
Liberamente tratto da “RuvidaMente.com”, per gentile concessione dell’autore.