Proprio sul vulcano napoletano il fenomeno spumante è esploso già da diversi anni, toccando areali e vitigni diversificati, sia a bacca bianca che rossa. I vitigni utilizzati per gli spumanti del Vesuvio sono quelli autoctoni, tipici del Lacryma Christi. Ce ne parla Antonella Amodio.
Qualche anno fa sembrava impensabile produrre spumanti che non fossero Trentodoc, Franciacorta, Oltrepò Pavese, Alta Langa e Prosecco e solo con determinate uve (Pinot nero, Pinot bianco, Pinot meunier, Chardonnay, Glera) e in territori ben precisi, tutti al Nord dell’Italia. Le cose sono cambiate quando si è iniziato a sperimentare e a dare un volto diverso ai vitigni che tradizionalmente erano proposti fermi.
Tutte le regioni hanno oramai i loro metodi classici, Charmat/Martinotti, ancestrali, da uve autoctone e sono nate anche cantine che si dedicano esclusivamente agli spumanti, come in Sicilia, sull’Etna, o in Campania, in Irpinia. Ma di esempi in giro per tutta la Penisola c’è ne sono diversi.
In Campania il fenomeno spumante è esploso già da diversi anni, toccando areali e vitigni diversificati, sia a bacca bianca che rossa, anche se la storia insegna che questa tipologia era presente già moltissimi anni fa. L’Asprinio d’Aversa Spumante è tra i più antichi del nostro Paese, con riferimento al re Roberto d’Angiò che incaricò il cantiniere della Casa Reale, Louis Pierrefeu, di produrre uno spumante per la Corte Angioina che fosse simile a quello francese, a cavallo tra XIII e XIV secolo. In Irpinia, nelle Cantine Di Marzo, a Tufo, negli anni ’20 viene prodotto il primo Spumante Metodo Classico di uve Greco della Campania che, grazie alla ferrovia del vino, veniva venduto fuori dalla regione.
Alla volta del Vesuvio
Sulle pendici del Vesuvio, vari produttori si sono orientati verso la produzione di vini spumanti. Lo struggente territorio è protagonista della leggenda di Lucifero che, scacciato dal Paradiso, ne portò con sé una piccola porzione che adagiò sul vulcano napoletano prima di sprofondare all’Inferno. Gesù, affranto e dispiaciuto da tale azione e allo stesso tempo emozionato da tanta bellezza di cui era stato privato, versò alcune lacrime che si posarono su quella piccola parte di mondo, dando origine a tutti i vitigni che vengono coltivati per produrre il vino Lacryma Christi.
Ed è proprio con le uve destinate a questa denominazione che si producono spumanti: dal Piedirosso, al Caprettone, alla Catalanesca. I due versanti del Vesuvio, quello a sud che guarda il mare del Golfo di Napoli, e quello a nord del Monte Somma, originati da due fulcri geologici, sono tappezzati di vigne che vanno dai 300 ai 700 metri di altitudine, affondando le loro radici nella sabbia e lapilli vulcanici ricchi di potassio. È facile imbattersi in vigne centenarie e in rimpianti con l’antico metodo della propaggine, cioè interrando il tralcio per dar modo di far nascere un’altra pianta. Un’area, quella vesuviana, contraddistinta da una ricchezza ampelografica enorme e tra le varietà di uve più coltivate ci sono anche la Coda di Volpe, la Falanghina e l’Aglianico.
Una storia recente
Lo spumante sul Vesuvio ha una storia recente, prima con produzioni con metodo Charmat e poi con il metodo classico, ottenendo in ambedue i casi risultati straordinari. Casa Setaro è stata la prima a produrre il metodo classico da uve Caprettone, puntando a questo vitigno identitario e locale, confuso in passato con la Coda di Volpe. Ha fatto da apripista ad altre bollicine ottenute con uve biotopo vesuviane, come la Catalanesca, aprendo la strada a tantissime cantine.
Oggi abbiamo una bella rappresentanza che diventa un caleidoscopio articolato e originale del Vesuvio, facendo dialogare vitigni cosiddetti minori, in blend o in purezza, con i metodi Charmat e classico, regalando sorsi pieni di sorpresa.