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I piccoli produttori

Piccoli produttori, Mulini di Segalari - foto di Linda Vukaj Aicod

Parlando di piccoli produttori artigianali, Daniele Cernilli ci ricorda come “piccolo è bello” sia un concetto soprattutto italiano. Ed è bene ricordare che i piccoli produttori sono più soggetti a diverse difficoltà, climatiche e di mercato, burocratiche e di costi di forniture rispetto ad aziende medio-grandi.

L’idea di un piccolo produttore, che fa vino solo con le sue uve per ottenere non più di una decina di migliaia di bottiglie è qualcosa che, come idea, piace a molte persone. Ci si trova autenticità, un modo artigianale di lavorare, con trasparenza e onestà. 

Si concorda sul fatto che interpreti la sua terra, che pratichi anche un po’ di biodiversità, perché ha l’orto, oppure fa miele, od olio extravergine, o si occupa del bosco accanto alle vigne, dei muretti a secco, della strada bianca che costeggia la piccola proprietà. 

Alcuni di loro sono diventati delle vere star. Penso a Gianfranco Fino a Manduria, a Michele Perillo a Castelfranci, a Enrico Angeli a Capo di Ponte, a Teobaldo Rivella a Barbaresco. E sono solo pochi esempi. 

Ma da noi, in Italia, nel mondo del vino, e non solo, l’idea che piccolo sia anche bello è un concetto diffusissimo. Altrove non è così. In Australia si è boutique winery fino a una produzione di mezzo milione di bottiglie. In California, tranne poche e significative eccezioni, tipo Screaming Eagle, è quasi la stessa cosa. E le aziende grandi, da quelle parti, ma anche in Francia, sono grandi sul serio. Gallo Winery produce più di un miliardo di bottiglie, Dom Pérignon non dichiara quante ne fa, ma si vocifera di numeri fra i sei e i sette milioni di pezzi. Se un ipotetico spumantista italiano facesse numeri analoghi di un suo metodo classico sarebbe additato come un bieco industriale, temo. 

Tornando al “piccolo è bello”, c’è da dire che ci sono molte ragioni a favore, ma anche qualche ombra. In annate sfortunate, per quanto un viticoltore sia bravo, può accadere che non riesca a fare granché di buono. Quella è la vigna e da lì deriva l’uva. Poi i costi di botti, di attrezzatura varie, di locali di cantina, devono essere spalmati su un numero di bottiglie piccolo. Perciò i vini costeranno fatalmente di più. 

Infine, per i produttori artigianali la distribuzione e la vendita sono indubbiamente più complicati. Trovare importatori all’estero è più difficile e più delicato. Affrontare la burocrazia legata alla produzione di vino più impegnativo. 

Non basta saper condurre un vigneto e saper fare vino, insomma. C’è chi riesce a fare tutto questo, ed è in qualche caso anche diventato famoso e persino benestante. Giustamente, aggiungo. Ma è un percorso difficile e in momenti di crisi come quelli che viviamo, cosa che comprende persino i cambiamenti climatici, anche pericoloso per la vita delle cantine minuscole. Perciò, noi che scriviamo di queste cose, e tutti gli appassionati che ci leggono, cerchiamo nei limiti del possibile di ricordarci di loro e, per come possiamo, di sostenerli. Ce n’è bisogno.

3 commenti

FRANCESCA QUIRICONI 7 Luglio 2025 at 11:10

Parole sante! Grazie da una piccolissima produttrice di Maremma e buona estate,
Francesca Quiriconi
http://www.pratoalpozzo.it

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Erik Banti 7 Luglio 2025 at 13:31

fin troppo facile da scrivere, non dice niente di nuovo ed in sintesi -sei picccolo- cambia mestiere ! i 4, 5 menzionati non fanno testo, rispetto alla stragrande maggioranza di produttori italiani che sono ben aldisotto delle 100.000 bottiglie, burocrazia, costi esagerati quando c’e un surplus di produzione arrivato ad oltre 70 milioni di ettolitri di cui nessuno parla – i produttori non sanno dove mettere la prossima vendemmia, iniziando a svendere il vino o stoccarlo ad altro prezzo in cantine ricettive, vediamo il costo dell’uva -tutti in silenzio- e del vino sceso in 12 mesi del 60% barolo/Brunello/Amarone non fanno eccezione da 1.500€ a 500€ e non ci sono richieste.
su questo voi giornalisti del settore dovreste scivere, altro che sui vini dell’estate `

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Massimiliano 7 Luglio 2025 at 13:48

È notorio che i produttori Italiani, anche a causa della morfologia del territorio, siano frequentemente molto piccoli. In molti areali 150.000 bottiglie identificano un produttore di medie dimensioni. Questa è una preziosa risorsa ed un fattore di rischio. Risorsa straordinaria perché solo la Francia può permettersi di proporre dei vini sartoriali e territoriali come il nostro paese. Unici ed inimitabili. Limitare i fattori di rischio, così bene esposti nell’ editoriale, dovrebbe essere il principale compito della politica e dei consorzi e qui purtroppo incompetenza, gelosie a volte vere e proprie “guerre di religione” rendono il vigneto Italia fragile ed a rischio.

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