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GDO: produzione locale vs. assortimenti comuni

GDO produzione locale vs assortimenti comuni

La sfida della GDO per quanto attiene agli assortimenti del vino riguarda lo spazio da dare alle produzioni locali rispetto a quelle delle altre regioni, cioè gli assortimenti comuni ai diversi punti vendita.

La grande distribuzione italiana si trova di fronte a un dilemma sempre più evidente: quanto spazio dare alle produzioni locali rispetto a un assortimento standardizzato e riconoscibile su tutto il territorio nazionale? Il vino è il settore in cui questa tensione si manifesta con maggiore intensità. Da un lato, il consumatore cerca prodotti legati al proprio territorio, dall’altro ha bisogno di punti di riferimento chiari e immediati.

Negli ultimi anni, la GDO ha dovuto affinare le sue strategie per trovare un equilibrio tra queste due esigenze, costruendo assortimenti che combinano una solida base comune con una selezione mirata di etichette locali.

Il tronco comune: sicurezza e riconoscibilità

In ogni supermercato d’Italia, da Milano a Palermo, ci sono referenze che non mancano mai. Grandi brand nazionali, denominazioni ben consolidate, vitigni riconoscibili anche da chi non ha una particolare cultura enologica. Questo “tronco comune” assortimentale è indispensabile per garantire continuità di offerta e facilitare le scelte d’acquisto.

Secondo i dati Circana, nel 2024 i vini più venduti nella GDO italiana appartengono a categorie estremamente riconoscibili: Prosecco, Chianti, Montepulciano d’Abruzzo e Nero d’Avola tra i rossi, Pinot Grigio e Vermentino tra i bianchi. La familiarità con queste denominazioni è un fattore chiave nella scelta del consumatore medio, che spesso preferisce andare sul sicuro piuttosto che sperimentare.

Ma questo approccio presenta un rischio. Un assortimento troppo uniforme può rendere la proposta poco distintiva, appiattendo l’esperienza d’acquisto e spingendo i clienti più curiosi a cercare altrove vini con maggiore carattere e unicità.

Localismo: autenticità e differenziazione

Negli ultimi anni, molte insegne della GDO hanno iniziato a valorizzare i vini locali, sfruttando il legame con il territorio come elemento di attrattiva e differenziazione. L’idea è semplice: un cliente di Torino potrebbe essere più propenso ad acquistare una Barbera locale rispetto a un Sangiovese toscano; allo stesso modo, un consumatore pugliese sarà più interessato a un Primitivo del suo territorio piuttosto che a un Nebbiolo.

I numeri confermano che questa strategia paga. Le vendite dei vini a forte caratterizzazione territoriale sono stabili o in lieve crescita anche in un mercato complessivamente in flessione. Secondo NielsenIQ, nel 2023 le etichette regionali hanno registrato una performance migliore rispetto ai grandi brand nazionali, con incrementi significativi nelle categorie a indicazione geografica tipica (IGT).

Questo trend è guidato da due fattori principali:

  1. Crescente attenzione alla qualità percepita – Il consumatore medio è più informato e curioso rispetto al passato. È più propenso a scegliere un vino che racconta una storia, piuttosto che un’etichetta generica da scaffale.
  2. Sostegno alle produzioni locali – C’è una crescente sensibilità nei confronti dell’economia locale. Sostenere i piccoli produttori e valorizzare i vini del territorio è diventato un argomento di vendita efficace per molte insegne.

Qual è il giusto equilibrio?

Il futuro dell’assortimento vinicolo in GDO non può essere né completamente uniformato né eccessivamente frammentato. Le insegne devono trovare un bilanciamento tra l’affidabilità del “tronco comune” e la capacità di sorprendere con offerte locali mirate.

Le strategie più efficaci seguono tre principi:

  1. Personalizzazione regionale senza perdere coerenza
    L’assortimento deve essere modulato in base alla domanda locale, ma senza creare eccessiva frammentazione. Un punto vendita in Veneto deve avere più Soave e Amarone, ma non può rinunciare a denominazioni nazionali consolidate.
  2. Selezione basata sui dati, non solo sull’intuizione
    Non basta inserire vini locali per compiacere il territorio. È fondamentale analizzare i dati di vendita, i trend di consumo e l’evoluzione della domanda per capire quali etichette hanno un reale potenziale commerciale.
  3. Comunicazione chiara e coinvolgente
    Il cliente medio della GDO non è un esperto. Se un vino locale non viene adeguatamente spiegato e valorizzato, rischia di rimanere invenduto. Informazioni chiare, cartellonistica accattivante e storytelling efficace possono fare la differenza.

Conclusione: il localismo è un vantaggio, se ben gestito

Il localismo non è una moda passeggera, ma una leva strategica per la GDO. Chi saprà integrare vini del territorio in modo intelligente, senza sacrificare la chiarezza dell’offerta, avrà un vantaggio competitivo importante. Il consumatore non vuole scegliere tra un assortimento anonimo e una giungla di etichette sconosciute. Vuole un mix equilibrato, che gli permetta di trovare sia i grandi classici che le piccole scoperte regionali. La sfida è aperta.

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