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Consumo di vino e salute: parlano gli esperti (3)

Consumo di vino, Vallini Andrea Fuga delle etichette 2023

Proseguiamo oggi la pubblicazione degli interventi dei nostri esperti, basati su studi scientifici. È importante sottolineare che quanto riportato non è un’opinione personale sul rapporto tra consumo di vino e salute, ma riferisca studi fatti a livello internazionale.

Generalizzare il messaggio il vino fa male alla salute in modo assoluto comporta diversi rischi, sia sul piano comunicativo che culturale. Pur riconoscendo l’intento di tutelare la salute pubblica, equiparare il vino (consumato moderatamente) ad altre bevande alcoliche ad alto tenore o a comportamenti di abuso rischia di stigmatizzare ingiustamente un elemento cardine della cultura alimentare di paesi come l’Italia, senza ottenere reali benefici educativi.

I rischi di una comunicazione generalizzante o stigmatizzante sul vino

Dal punto di vista scientifico e comunicativo, lanciare messaggi troppo drastici – ad esempio suggerire che anche un bicchiere di vino sia pericoloso tanto quanto un superalcolico o un episodio di binge drinking – può risultare controproducente. Il pubblico potrebbe percepire tali affermazioni come allarmistiche o ideologiche, reagendo con scetticismo o rifiuto. 

La storia della salute pubblica insegna che i messaggi efficaci sono quelli bilanciati e credibili: se ogni consumo alcolico viene dipinto come letale, si rischia di perdere l’attenzione di quei cittadini che bevono responsabilmente e che potrebbero erroneamente minimizzare anche i veri pericoli dell’abuso, sentendosi ingiustamente colpevolizzati. In altre parole, una comunicazione troppo estrema potrebbe banalizzare proprio il rischio che intende evidenziare, generando assuefazione nei destinatari o contrapposizioni ideologiche. Al contrario, riconoscere le differenze e parlare con precisione scientifica (ad esempio: “un consumo moderato comporta rischi molto inferiori rispetto a un consumo elevato, e può inserirsi in stili di vita sani, ma comunque l’alcol non è una sostanza priva di rischio”) risulta più onesto e più efficace nel favorire scelte consapevoli.

Inoltre, vi è un importante aspetto culturale. Il vino, in Italia e nell’area mediterranea, non è solo una bevanda alcolica ma rappresenta storia, identità locale, convivialità e tradizione culinaria. Equiparare il consumo moderato di vino a un “vizio” nocivo tout court può essere percepito come un attacco a tali tradizioni, creando resistenze sociali. 

Il fronte internazionale

Sul fronte internazionale si registra una spaccatura nelle posizioni: alcuni esperti sostengono la linea del “nessun livello di consumo alcolico è sicuro”, sottolineando in particolare il legame tra anche piccole quantità di alcol e l’aumento di rischio di tumori (inclusi tumori comuni come quello della mammella) who.int. Queste preoccupazioni sono reali e basate su evidenze (l’etanolo è classificato dallo IARC come carcinogeno di gruppo 1, cioè sicuramente cancerogeno per l’uomo (who.int). Altri specialisti però invitano a contestualizzare il rischio: ad esempio, danni cerebrali significativi compaiono con abusi massicci e prolungati, tipici dell’alcol-dipendenza, mentre “un normale consumo di vino, un bicchiere ogni tanto a cena con gli amici, non può arrivare a fare danni al cervello” come ha spiegato il prof. Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campu Biomedico di Roma (tg24.sky.it). 

Anche sui tumori, gli epidemiologi distinguono: il rischio attribuibile all’alcol cresce in modo dose-dipendente (who.int) ed è drammaticamente più alto negli abusatori, mentre a livelli moderati l’aumento di rischio assoluto per il singolo individuo resta piccolo. Ciò non significa negare il rischio oncologico anche a basse dosi, ma ricordare che esso va ponderato nel contesto generale del profilo di salute di una persona. Ad esempio, per un individuo a elevato rischio cardiovascolare, eliminare completamente il vino potrebbe ridurre leggermente la sua probabilità di tumore ma al contempo privarlo di un fattore (moderato consumo di vino rosso) associato a protezione cardiaca (EHJ 2025). Una comunicazione sanitaria matura deve quindi ammettere queste sfumature: presentare il vino moderato come “veleno” tout court sarebbe percepito come un messaggio unilaterale e potrebbe alienare parte del pubblico, anziché educarlo.

L’omologazione al ribasso

Infine, c’è un rischio di omologazione al ribasso: paragonare il vino alle sigarette (come fatto da alcuni commentatori proponendo etichette allarmistiche simili a quelle del tabacco) ignora che, pur condividendo la presenza di sostanze nocive, vi sono differenze sostanziali. Nel caso del tabacco, qualsiasi livello di consumo comporta un rischio elevato e non esiste un uso moderato benefico; nel caso del vino, come visto, il pattern di consumo moderato si associa a profili di rischio molto diversi. Equiparare i due messaggi rischia di banalizzare entrambi. Chi sa distinguere, troverà ridicola la similitudine e tenderà a ignorare gli avvisi; chi non sa distinguere potrebbe perfino dedurne erroneamente che “allora anche fumare una sigaretta ogni tanto è ok”. Evitare la stigmatizzazione indiscriminata del vino serve dunque anche a mantenere alta l’attenzione dove davvero conta: sul contrasto all’abuso e alle dipendenze, senza intaccare ingiustificatamente pratiche moderate culturalmente radicate.

La vignetta utilizzata per l’apertura è di Andrea Vallini, “Fuga dalle etichette”, tratta dal concorso di (eno)satira Spirito di Vino, edizione 2023, categoria Under 35, organizzato dal Movimento Turismo del Vino Friuli Venezia Giulia.

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