Di vini rosé, o rosato o per alcuni semplicemente rosa, l’Italia è ricca. Possiamo dire che ogni regione ha i suoi, quasi sempre con i suoi vitigni autoctoni. Ve ne proponiamo 4, da zone diverse.
Com’è noto, i vini rosati vengono prodotti a partire da uve rosse e si ottengono da una breve macerazione delle bucce con il mosto. Essendo le sostanze coloranti contenute nelle bucce, è proprio questo contatto che conferisce al vino il caratteristico colore rosato. Questo processo dura generalmente poche ore, a seconda dell’intensità di colore desiderata. La moda attuale chiede rosati molto scarichi di colore, un leggero color cipria, ma in alcune denominazioni storiche sopravvive l’idea di un colore più carico, che connota anche all’estero i rosati tradizionali italiani.
L’idea di miscelare il vino rosso con il bianco per ottenere il rosato è un’idea antica ma che in Italia non era consentita. Se proprio si volevano usare delle uve bianche, bisognava macerarle insieme alle rosse. Con l’adozione della legislazione europea, che invece consente il blend, ora questa pratica è consentita anche da noi, e la troviamo soprattutto nei “nuovi” rosati, quelli di concezione più moderna.
Partiamo dall’Abruzzo e dai fratelli Barba
Nella nostra disamina partiamo da una delle regioni storicamente più vocate alla produzione di rosati, al punto che ne ha fatto una denominazione regionale e un nome che è un distintivo: parliamo del Cerasuolo d’Abruzzo. Prodotto con l’uva principe della regione, il Montepulciano (minimo 85%), è un vino che non ha ceduto alle mode e del resto il suo nome viene dalle cerase, le ciliegie, proprio per il suo colore rosato intenso, che richiama il rosso ciliegia.
Il produttore che abbiamo scelto è Barba, 62 ettari di vigneti collocati nelle aree più vocate delle zone Colle Morino, Casal Thaulero e San Lorenzo. Il vino è il Cerasuolo d’Abruzzo Collemorino 2023.
Passiamo nel Salento dal “decano” Leone De Castris
Altra zona riconosciuta come culla dei rosati italiani è il Salento, la base del “tacco” pugliese di questa nostra nazione. Questa è la grande terra del Negroamaro, un vitigno dalle straordinarie potenzialità, che è alla base di quasi tutti i rossi e i rosati di questa zona (fatta eccezione dei Primitivi di Manduria, ma stiamo parlando di rosati). Nella versione rosata tradizionalmente vede una piccola aggiunta di Malvasia Nera.
Il primo produttore locale a imbottigliare il vino rosato è stato Leone de Castris, nel 1943, chiamandolo Five Roses. Dopo 50 anni – nel 1993 – è stato creato il Five Roses Anniversario ed è questo il vino che presentiamo: Salento Rosato Five Roses Anniversario 2023.
Saliamo a Castel del Monte e troviamo Torrevento
Siamo nella Murgia settentrionale, a Castel del Monte, dove troneggia il castello ottagonale di Federico II di Svevia del XIII secolo, che è oggi patrimonio UNESCO. Questa è la più importante fra le denominazioni della Puglia centro-settentrionale. Nero di Troia, Aglianico e Bombino Nero sono alla base di morbidi rossi e rosati e qui il rosato da uve Bombino Nero è Docg.
Uno dei produttori storici della zona è Torrevento e il vino che presentiamo è il suo Castel del Monte Bombino Nero Rosato Veritas 2023.
Eccoci in Valpolicella, in casa Masi
La quarta tappa scompagina le carte: saliamo in Veneto e non nella zona del Lago di Garda, dove i Chiaretti di Bardolino rappresentano l’altro grosso enclave per la produzione di rosati, ma nell’entroterra. Precisamente andiamo nell’alta Valpolicella, ma il rosato che abbiamo scelto non è prodotto con i vitigni della zona come la Corvina, bensì con il Merlot, un’uva che per i veneti è praticamente autoctona.
Ci propone questo rosato moderno e controcorrente un’altra azienda storica, affidabile e tra le più conosciute a livello internazionali: Masi. Ecco la sua interpretazione del vino “in rosa”, giovane, scanzonato e divertente, il Trevenezie Rosato Rosa dei Masi 2023.
Tutti e quattro i vini proposti, naturalmente, costano al massimo 15 euro.